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Jun 23, 2023

Dare priorità alla sicurezza e al benessere dei Rohingya

La crisi dei Rohingya continua a lasciare una tragica scia di immense sofferenze e ingiustizie. Essendo una minoranza perseguitata, il popolo Rohingya ha sopportato decenni di oppressione, sfollamento e violenza, che hanno lasciato una cicatrice indelebile nell’umanità. La loro lotta per la giustizia e il rimpatrio è stata segnata da ostacoli, false promesse e manovre politiche, che hanno prolungato la loro agonia e impedito una soluzione a questa crisi umanitaria.

Al popolo Rohingya, che da decenni subisce discriminazioni e persecuzioni sistemiche in Myanmar, sono stati negati i diritti umani fondamentali e soggetti a campagne propagandistiche che li etichettano come stranieri e potenziali minacce alla stabilità del Paese. La Costituzione del 1982 li ha privati ​​della cittadinanza e li ha resi apolidi, cancellando di fatto la loro identità e negando loro l’accesso all’istruzione, al lavoro e alla libertà di movimento.

Nonostante le richieste internazionali per il loro rimpatrio e il ripristino dei loro diritti, il governo del Myanmar ha mostrato poco impegno genuino per risolvere la crisi. Invece, si sono impegnati in un ingannevole processo di rimpatrio volto a eludere il controllo internazionale e ad accontentare la Corte penale internazionale (CPI). La costruzione di edifici e insediamenti governativi sul territorio dei Rohingya, così come la distruzione dei loro villaggi, rivelano ulteriormente i secondi fini e la mancanza di sincerità del governo.

Nonostante le richieste internazionali per il loro rimpatrio e il ripristino dei loro diritti, il governo del Myanmar ha mostrato poco impegno genuino per risolvere la crisi. Invece, si sono impegnati in un ingannevole processo di rimpatrio volto a eludere il controllo internazionale e ad accontentare la Corte penale internazionale (CPI).

La giunta militare del Myanmar ha svolto un ruolo centrale nel perpetuare la sofferenza del popolo Rohingya. La loro brutale campagna di violenza nel 2017, caratterizzata da uccisioni di massa, stupri e incendi dolosi, ha provocato lo sfollamento di centinaia di migliaia di Rohingya fuggiti nel vicino Bangladesh. La continua presenza dei militari nello stato di Rakhine e il loro rifiuto di creare un ambiente sicuro per i Rohingya minano ogni prospettiva di un processo di rimpatrio significativo.

Il coinvolgimento della Cina nel processo di rimpatrio ha sollevato sospetti e preoccupazioni tra la popolazione Rohingya. La Cina, nota per le sue politiche controverse nei confronti della propria minoranza musulmana, gli uiguri, ha costantemente utilizzato il proprio potere di veto per impedire risoluzioni internazionali sulla crisi dei rifugiati Rohingya. Ciò ha alimentato le speculazioni secondo cui l’impegno della Cina nel processo di rimpatrio sarebbe guidato da motivazioni politiche, piuttosto che da una genuina preoccupazione per il benessere del popolo Rohingya.

La mancanza di fiducia e sicurezza nella regione di Arakan, dove i Rohingya verrebbero potenzialmente rimpatriati, aggiunge un ulteriore livello di complessità alla crisi. La regione è attualmente sotto il controllo dell’Arakan Army (AA), un gruppo armato che cerca di fondare una nazione Rakhine. L'opposizione dell'AA al riconoscimento dei Rohingya come gruppo etnico e il maltrattamento della popolazione Rohingya hanno creato un ambiente di paura e incertezza. Il popolo Rohingya si trova intrappolato tra le politiche oppressive sia dell’AA che della giunta militare del Myanmar, affrontando restrizioni alla libertà di movimento, ai mezzi di sussistenza e persino alla propria identità.

Il coinvolgimento dell'AA nel traffico di droga aggrava la difficile situazione della comunità Rohingya. Costretti a prestare servizio come facchini e sottoposti a punizione se non rispettano le norme, i Rohingya sono intrappolati in un ciclo di sfruttamento e abusi. L’oppressivo sistema fiscale dell’AA grava ulteriormente sulla già impoverita popolazione Rohingya, rendendo la loro vita quotidiana ancora più difficile.

Mentre alcuni individui sperano che il rispetto delle regole dell'AA possa portare a un Arakan più inclusivo e tollerante, il sentimento generale rimane di paura e scetticismo. Il disprezzo degli AA per l'identità etnica dei Rohingya e il maltrattamento della popolazione minano ogni prospettiva di convivenza pacifica.

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